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Transformers – L’era dell’estinzione: la recensione che bramavi di leggere

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Transformers-Age-of-Extinction

Buongiorno.

IL TRANSFORMIUM.

Lo sappiamo tutti che i Transformers sono per bambini.
Nei primi film ce n’eravamo dimenticati: il culo di Megan Fox, le battute sulla masturbazione, i cani che si inchiappettavano, il robot con le palle penzolanti, il culo di Rosie Huntington-Whiteley…
Quasi (quasi) tutta roba che non ci credo fosse frutto della mente di uno sceneggiatore che poi vuole trovare altri lavori pagati.
Io non ho problemi ad ammetterlo ragazzi, quella per me era colpa di Michael Bay.
Non ho le prove, ma erano schizzi talmente fuori registro che mi sento che è così.
In questo film invece la nozione che il target principale abbia un’età a malapena a doppia cifra ti schiaffeggia violentemente in fazza due volte:
- quando scopri che Mark Wahlberg fa L’INVENTORE;
- quando viene pronunciata la parola TRANSFORMIUM.

Ci arrivo con calma.
Partiamo dalle premesse di questo quarto capitolo.

Senso della misura.

Senso della misura.

Michael Bay dirige tre film sui Transformers.
Tutti e tre incassano miliardi di fantastilioni di paperdollari MA attraggono critiche.
La maggior parte di esse sono deliranti (“il plot pare meno complesso di quelli di David Mamet e i dialoghi meno sferzanti di quelli di Aaron Sorkin!!!1! E in più le trasformazioni non sono realistiche” e cose simili), ma alcune vengono accolte.
Ad esempio, tutto il mondo all’unisono è ormai d’accordo sul fatto che Shia LaBoeuf abbia rotto le palle: Michael, per non sbagliarsi, lo ha sostituito con colui che oggi più di chiunque altro è l’incarnazione dell’eroe americano, ovvero Mark Wahlberg (inizialmente si vociferava di Jason Statham, poi devono aver visto la scena di Parker in cui tenta l’accento texano).
Poi qualcuno ha preso coraggio, si è presentato nell’ufficio di Michael Bay con otto guardie del corpo e backup a portata di auricolare, e gli ha detto “ecco, uhm… JOHN TURTURRO IN MUTANDE NON FA RIDERE!”. A quel punto, con otto pistole di colpo puntate alla testa, Michael ha riappoggiato la granata sulla scrivania e risposto “Bastava chiedere”.
Infine sì, Michael Bay si è rassegnato al fatto che il resto del mondo non ha i suoi stessi occhi bionici, e ha acconsentito di ritoccare il design dei robot per renderli maggiormente distinguibili l’uno dall’altro.
Tutto giusto e ineccepibile.

Dov'è il tuo LaBuffone now?

Dov’è il tuo LaBuffone now?

Si inizia con una rivelazione incredibile: furono i Transformers a causare l’estinzione dei dinosauri.
La volta scorsa ci avevano raccontato che c’erano i Transformers sulla Luna e poi ci avevano messo Buzz Aldrin in persona a confermarlo, ma qui… Boh? Non voglio dare a Michael Bay del bugiardo, ma onestamente puzza un po’ di bufala.
Se fosse vero però, questo assolverebbe Steven Spielberg.
Poi appare Mark Wahlberg nel ruolo di “Cade Yeager” (il cognome è stato scelto per confondere ammorte i fans di Pacific Rim).
Il Mark si presenta in un cinema dismesso per comprare cianfrusaglie e, dopo aver frugato ovunque, sceglie un camion. Che magari a qualcuno di voi suona un po’ strano, ma io sono una persona abitudinaria e, se per circostanze avessi parcheggiato il mio camion DENTRO alla sala invece che fuori nel parcheggio, vi garantisco che me ne sarei dimenticato pure io.
Cade Yeager è un buzzurro dal cuore d’oro che figliò troppo presto e ora si ritrova single con figlia 17enne a carico (anche se Marky ha 43 anni per cui ci starebbe tutto): i suoi sensi di colpa lo portano a dedicare la sua intera vita a fare in modo che lei possa andare al college, possibilmente vergine; il suo piano per guadagnare soldi è inventare cose meccaniche senza neanche uno straccio di background tecnico (e con la faccia di Mark Wahlberg, per di più) e che invariabilmente non funzionano.
Niente più Megan Fox meccanico sexy con le chiappe in primo piano: ora c’è Mark Wahlberg buffo inventore strampalato, tipo il padre dei Gremlins palestrato, e con al massimo la t-shirt sporca.
È il chiaro messaggio che, per proseguire, si consiglia di ri-settare il cervello all’età di 9 anni. Esatto, a quando le invenzioni dei film che non funzionavano non si limitavano a non funzionare ma facevano pericolosissime scintille, e tu invece che preoccuparti ridevi.
Comunque, per non sbagliarsi, Michael Bay fa un primo piano anche alle chiappe della figlia 17enne di Marky Mark (interpretata da Nicola Peltz, di anni 19 secondo il pubblico ministero).
Il partner di Cade Yeager invece, Spalla Comica, per la capacità mostruosamente istintiva di Michael Bay di circondarsi di persone insopportabili è interpretato dal tizio che reggeva la telecamera in Cloverfield.

"I think we just found a Transformer!!!1!"

“I THINK WE JUST FOUND A TRANSFORMER!!!1!” (frase dell’anno)

In ogni caso, salta fuori che il camion trovato al cinema era (ATTENZIONE!!! SPOILER!!!) Optimus Prime (FINE SPOILER).
La situazione è che trattasi di vero sequel, in cui ci spiegano che sono passati cinque anni dalla distruzione di Chicago, ancora sotto shock dall’invasione degli uomini scoiattolo, ma i protagonisti dei film precedenti non vengono nemmeno nominati (forse perché Shia LaBoeuf non è più famoso).
Di conseguenza gli Autorobot si sono nascosti in giro per gli USA e se ne sono rimasti per un po’ buoni e spenti.
Optimus ad esempio era andato a vedere il remake di Robocop, e si era addormentato lì.
Il governo però, con l’aiuto di un cazzutissimo Transformer cattivo cacciatore di taglie, li sta cercando per sterminarli definitivamente, anche perché un tizio che dovrebbe essere l’imitazione di Steve Jobs (interpretato da Stanley Tucci, semi-irriconoscibile nei panni di un eterosessuale) dopo aver raccattato parti di robot morti in giro per Chicago è riuscito a scoprire il segreto per creare dei Transformers in laboratorio.
E il segreto è una particella molecolare metallica aliena di cui tutti i Transformers sono fatti.
Questa particella si chiama…

TRANSFORMIUM

(zan zan zaaan…)

Il Transformium, porca miseria ladra.
IL TRANSFORMIUM.
Imposto il cervello ancora più indietro, all’età di sette anni e non ci penso più.
Questo mi permette di reggere la scena di dimostrazione del Transformium, in cui uno scienziato simpatico palleggia un mucchio di molecole per aria come se fosse uno Slinky e, senza uno straccio di spiegazione, lo trasforma da una radio a una pistola con la pura forza del pensiero.
È una sequenza talmente priva della minima vergogna che pare sia stata ideata apposta per provocare quelli che poi scrivono stroncature interamente basate sui buchi di sceneggiatura (ed è comunque mille volte più accettabile e onesta di qualsiasi buco di sceneggiatura della trilogia di Dark Knight).

"Ok, io ora ti passo questa provetta, e tu da bravo mi fai un po' di Transformium..."

“Ok, io ora ti passo questa provetta, e tu da bravo mi fai un po’ di Transformium…”

Un’altra cosa che non ho ben capito è perché, se Steve Jobs voleva costruire un Transformer buono da pubblicizzare come paladino della giustizia che sostituisse Optimus nel cuore della gente, l’abbia chiamato Galvatron.
Cioè, non so a voi, ma a me il nome “Galvatron” ricorda più “Megatron” che “Optimus”. No? Mi sbaglio? Mi sfugge qualcosa?
Secondo me il fatto che per costruirlo abbia effettivamente usato parti rubate a Megatron è quasi secondario.
Forse gli era andato un po’ di Transformium nel cervello.
Ma tornando a noi: il governo scopre che Mark Wahlberg ha trovato Optimus e lo va a prendere, Optimus si sveglia, arriva anche il moroso della figlia di Wahlberg (Paul Walker da giovane Jack Reynor) e tutti insieme scappano appassionatamente: la scena chiave di questa sequenza è il momento in cui si scopre che il moroso della figlia ha 20 anni, Marky Mark minaccia di chiamare la polizia e lui non solo svela che in realtà stanno insieme da quando pure lui era minorenne ma – a beneficio credo degli spettatori italiani per i quali questo argomento è delicatissimo e di stretta attualità – cita con precisione la legge e l’articolo relativo dello statuto del Texas (la cosiddetta “legge Romeo e Giulietta“). Tutto molto interessante.
Pian pianino vengono recuperati gli altri Autorobot e scopriamo il magico trucco di Michael Bay per renderli distinguibili: c’è Bumblebee, poi ce n’è uno verde con lo spolverino, uno giappo vestito da samurai e doppiato (non scherzo) da Ken Watanabe e uno ciccione con la barba doppiato da John Goodman.
Funziona, niente da dire.

Anche tu una barba perfetta con il TRANSFORMIUM

Anche tu una barba perfetta con il TRANSFORMIUM

Questa parte è il vero termometro del nuovo corso della saga, e ci sono dei miglioramenti ovvi.
Non si tratta più di buttare Shia LaBoeuf nella mischia insieme ai suoi insopportabili genitori e a John Turturro e chiedere loro di improvvisare qualcosa per andare avanti, qualcosa che si risolveva quasi sempre in un nevroticismo diffuso da parte di tutti, urla, tic, stronzate a caso, e a turno i vari Anthony Anderson, Ken Jeong e persino John Malkovich ad amplificare il non-sense e portarlo diverse volte al livello “unghie sulla lavagna”.
Qualcuno di voi considera ancora il primo film come il migliore della serie per via di essere forse l’unico che contiene scene riuscite che non sono action, ovvero la scena spielberghiana del robot che sveglia la bambinetta e quella geniale di quando si nascondono goffamente intorno alla casa della famiglia Witwicky. Pochissima roba se chiedete a me, cancellata tranquillamente dalla nonna di Bernie Mac che mostra il dito medio, da Anderson che va in overdose di ciambelle e da Bumblebee che piscia su Turturro, e niente che arrivi anche solo a solleticare l’incredibile finale del terzo capitolo che dovrebbe essere mostrato in tutte le scuole.
Qui si ritorna ad avere una trama da seguire e dei personaggi da presentare, e quindi a dare più importanza al copione.
Per molti di voi le bambinate saranno comunque troppe e non ho nulla di significativo da obiettare, ma è innegabile che si respiri molto di più.
Persino Stanley Tucci, uno a cui sarebbe facilissimo chiedere di smitragliare una serie di faccette in libertà per tornare ai soliti eccessi, è in realtà contenutissimo.

Michael Bay rilassatissimo sul set

Michael Bay rilassatissimo sul set

Dire che la storia “coinvolga” è troppo, ma per la prima volta almeno non ci si ritrova costretti a distogliere lo sguardo e/o tapparsi le orecchie spazientiti.
Il messaggio lanciato dalla produzione è chiaro: zero problemi con le scene action, e zero problemi con il lasciare ai robot una personalità da barzelletta, ma il contorno è migliorabile e si può rendere ancora più appetibile e universale.
Questo ovviamente non impedisce comunque a Michael Bay di dare il peggio di sè.
In un certo senso è facile lodarlo per la sua prova in Pain & Gain: non era un kolossal action pieno di effetti speciali, ma era pur sempre una storia esagerata piena zeppa di personaggi eccentrici e situazioni assurde, il che si sposava alla grandissima con il suo stile costantemente sopra le righe. Era probabilmente l’unico tipo di storia che è capace di girare efficacemente senza bisogno di far saltare qualcosa in aria, e gli va dato atto in questo senso di conoscere benissimo se stesso e saper individuare il materiale che fa per lui anche fuori dai soliti schemi.
Qui invece sembra a tratti che proprio non possa farcela, che non senta il ritmo della storiella pseudo-spielberghiana che gli hanno di nuovo imposto.
Si procede con una fretta mal camuffata, e ogni tanto esplodono inquadrature dinamiche a casaccio, la cui apoteosi per quel che mi riguarda è nella scena in cui Marky Mark minaccia con la mazza da baseball i potenziali acquirenti della sua casa indebitata e Michael gridando “AAARGH CHE NOIA!!!” attacca la cinepresa alla portiera della loro auto che se ne sta andando.
Per non parlare di quando a volte pompa talmente i colori che nelle inquadrature in cui non ci sono umani pare di vedere Cars della Pixar.
Ma capisci perché girano voci che lui voglia cedere il timone senza necessariamente finire la nuova trilogia.
E in un certo senso aumentano le speranze per Bad Boys 3.

Non una scena dal film , ma la vera statua di Optimus Prime a Hong Kong

Non una scena dal film , ma la vera statua di Optimus Prime a Hong Kong

Poi, circa a metà film, inizia il finale.
Il finale di questo Transformers è lungo abbastanza da fare tranquillamente un lungometraggio da solo.
Considerando che il film intero dura quasi tre ore secondo me potevano dividerlo in due e mandare le due parti nei cinema a un paio di settimane di distanza tipo Nymphomaniac, anche se ora che ci ripenso probabilmente nessuno sarebbe andato a vedere la prima parte.
Stilisticamente, Bay la gioca facile: con i capitali cinesi che impongono di ambientare il finale a Hong Kong, ci sono a disposizione location incredibili come i palazzi dell’ex città murata di Kowloon che permettono giochi geometrici spettacolari.
La grossa novità però è che Michael rallenta il montaggio, fa grande uso di slow motion e inquadra spesso i robot da lontano o comunque a figura intera.
Di conseguenza – tenetevi stretti, stento a credere anch’io a quello che sto per scrivere – l’azione è comprensibile.
Forse ci manca la singola immagine iconica sradica-mascella come nel terzo capitolo quando i grattacieli di Chicago iniziano ad ammosciarsi l’uno sull’altro come mottarelli al sole, ma si tratta comunque di un’ora filata di money-shots consecutivi, e per una volta sono tutti perfettamente distinguibili da occhio umano.
Come ai tempi d’oro di The Rock o Armageddon.
L’assalto sensoriale di questo quarto film è esattamente ciò che avevamo sperato di vedere fin dal 2007, o forse da vent’anni prima quando giocando in cameretta con l’originale linea di giocattoli gli facevamo fare esattamente le stesse mosse.

E questo è niente

E questo è niente

C’era da superarsi, e Michael Bay l’ha fatto di nuovo.
Ci ha messo l’astronave dei Transformers.
Ci ha messo Optimus che va in armeria a scegliere il suo enorme spadone fra una serie di opzioni una più esaltante dell’altra.
Ci ha messo un megacalamitone gigante perché a un certo punto gli stavano strette anche le leggi di gravità.
Ci ha messo roba che a confronto Pacific Rim pare già Robojox.
E quando qualsiasi altro film normale avrebbe chiamato i titoli di coda da un quarto d’ora abbondante, lui fa entrare in scena i Dinobots e tira ancora dritto dove - per coreografia, dinamismo, impatto visivo, dimensioni e cura maniacale dei dettagli di ogni singola, densissima inquadratura - nessun altro può arrivare.
Per Michael Bay, coordinare un’ora di esseri giganti metallici e distruzioni su larga scala ormai è naturale come andare in bicicletta.
E sì, è estenuante, è una roba che a un certo punto annichilisce il cervello, ma non parlatemi di overdose. Non ci credo.
Non esiste fare overdose di sesso, e in seconda battuta non esiste fare overdose di robottoni che, finalmente, si menano così.

No, davvero, cosa devo spiegare?

No, davvero, cosa devo spiegare?

Il finale aperto, QUEL finale aperto che hanno avuto il coraggio di mettere dopo un’ora di battaglia, è assolutamente ridicolo.
Più ridicolo di quando Optimus rimase ingarbugliato mezzora in una serie di cavi.
Ma va bene così.
Il quinto film può aspettare un pochetto, ho da riguardarmi questo almeno altre due o tre volte.

Poster alternativo per il circuito d'essai

Poster alternativo per il circuito d’essai

DVD-quote:

“Per il robottomane che è in te”
Nanni Cobretti, i400Calci.com

>> IMDb | Trailer


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